Estate

IMG_1561Per tante persone l’estate è sinonimo di vacanza, di stacco, di famiglia in villeggiatura – che buono il gusto un po’ rétro di questa parola, eh?

Non per tutti però è così.

C’è chi l’estate l’accoglie tremando vagamente, chi la teme come un tempo di prova, di incertezza.
Ci sono i ricordi brutti, di perdita e dolore, fatica immensa e lacrime.
Di sospeso terribile, di vuoto e ingiustizia.

A quelli, a volte, si sommano poi i passi dentro una vita nuova. Spesso la si è scelta, è vero, ma non per questo è più facile camminarci. Una vita nuova porta su strade sconosciute, sulle quali si deve imparare a procedere da soli, richiede un riassestamento, significa affrontare le proprie paure, i propri limiti, dal cambiare una lampadina senza aiuto al guardarsi allo specchio e chiedersi se si è felici.

Significa potersi trovare a riempire vuoti improvvisi in momenti sbagliati, organizzare un viaggio senza avere nessuno accanto, riempire serate che diventano improvvisamente spaziose come lande a ridosso di fiordi ripidi.

L’estate può diventare per tanti vuoto che si riempi di panico. Nuovi equilibri che sembravano facili da maneggiare, a tratti diventano pesanti come valigie pronte, ma che rimarranno lì sulla porta.

Sospesi i ritmi della vita quotidiana si fanno i conti con se stessi, ci si guarda dentro, si cerca di capire fin dove si riesce a fare, a reggere. Fin dove lo stare bene con se stessi sia reale o costruito. Si impara, si cresce, ce la si fa, se lo si vuole. Oppure si cede, ci si lascia scivolare dentro giorni lunghi, privi di senso. Le persone che si amano lontane, quando le vorresti con te.

L’estate non è per tutti sempre allegria.

Eppure per tutti esiste la possibilità. La possibilità che torni ad esserlo, a diventarlo. Perché la vita in qualche modo la puoi scegliere. Puoi scegliere come prenderla, come vivere quello che ti piomba addosso. Perché oggi, quando attraversavo i miei ultimi 8 anni e le centinaia di foto, in tutte, ma proprio in tutte, Superbimbo sorrideva o persino rideva. In tutte le sue foto. Prima, durante e dopo. In ospedale e fuori, al mare, in montagna, di nuovo in ospedale. E suo fratello ha imparato a farlo. Mentre ho guardato la mia faccia e quasi non mi sono riconosciuta… dov’ero?

Quindi, l’estate è qua e io ho già iniziato a piangere. Ma non sarà così per sempre.

Tutto bene, insomma

Qualche giorno fa li guardavo giocare in spiaggia: il grande spensierato, indipendente, coraggioso; il piccolo più diffidente, più guardingo, indubitabilmente più goffo. Con quella cicatrice ingombrante che io non noto neppure più. Se non quando intercetto alcuni sguardi perplessi e leggo in quegli occhi molte domande. Ma non mi turbano, quelle domande silenziose. Vorrei, anzi, che le esprimessero in parole parlate, vorrei raccontare loro la nostra storia perché è un racconto breve con uno splendido lieto fine.

Tra poco chiuderemo luglio nell’armadio e inizierà agosto, il mese destabilizzante, quello che più di tutti mi riversa addosso sentimenti contrastanti, tra leggerezza e ansia. Sono trascorsi ormai tre anni ma le sensazioni rimangono invariate. Tant’è. Ora però ho la determinazione che mi serve, le manipolerò fino a trasformarle in parole sensate, che arrivino al cuore di chi le vorrà ascoltare.

3 anni fa. E dire che tre anni fa eravamo altrove. Tra pochi giorni saremmo stati esattamente a questo punto.

Loro erano tanto più piccoli, ma nel mio ricordo più consapevoli di quanto potessi aspettarmi da fagotti di carne e di istinti di quell’età.

Oggi dopo tre mesi esatti dall’ultimo, il controllo di routine come da protocollo di follow-up.

La sera prima sento una leggera ansia avvolgermi e infilarsi tra le sinapsi.  La mattina sono inconsapevolmente tesa, me ne accorgo solo quando, rientrati, mi investe il sonno, quello puro e buono. L’adrenalina sfuma in bisogno di lettone.

I valori sono perfetti. Dico, perfetti, non nella norma. Persino la proteina C quella che indica stati di infiammazione anche non palesati né chiaramente individuabili, è ai suoi minimi storici. L’emocromo ha recuperato. Superbimbo è un fascio di energia pura.

È cresciuto: non deve più essere placcato al lettino da quattro adulti, si siede buono in braccio a papà, allunga il braccino e non emette quasi lamento. Guarda le provette dai tappi colorati riempirsi del suo sangue. Chiede giusto di fare in fretta, ma dal Mago sono di un’abilità ultraterrena.

Qualche capriccio e un copione ormai consolidato si ripete: lui l’ecografia addominale se la fa fare esclusivamente dal suo medico di fiducia, il Dott. Sorriso, gentile ma non zuccheroso, il medico che gli ha sempre parlato da pari, che conosce tutte quelle forme nel suo addome meglio di me e di suo padre. Il Suo ecografista di fiducia. E non tentate di dissuaderlo con moine, giochini o vezzeggiativi di dubbia efficacia: Superbimbo vuole Lui  e non ce n’è.

Colazione al Bar, perché Superbimbo non vede l’ora di farsi i baffi con il latte schiumato come nella tazza dei grandi e ingurgitare una ciambella più grande di lui, finendo inevitabilmente di inzaccherarsi fin nelle orecchie.

Non è finita, ci attende la parte più piacevole di quella che nel tempo pare diventare una visita di piacere di amici che non si riescono mai ad incontrare. È la visita del Dott. Ironia. Lui è parte della nostra famiglia, onestamente non potrei pensarci senza di lui, un amico, un appoggio sicuro lungo tutto il percorso con la sua onestà e il suo ottimismo.

Mi sono dovuta spesso trattenere dal digitare il suo numero, anche solo per un saluto o una battuta. Ha anche altri bimbi di cui occuparsi e ai quali voler bene. E a Superbimbo ne vuole tanto.

Ci sa fare, lo convince a prendere la pressione insegnandogli ad usare lo sfigmomanometro, lo pesa con nonchalance mentre gli chiede del mare, gli controlla ogni ghiandola o linfonodo mentre lo fa ridere dal solletico. Lui è il  nostro insostituibile Dott. Ironia.

Tutto bene insomma.

Eppure non smetto di pensare alla stanza 202 dell’ISMETT di Palermo o al bimbo 111 che non conosco ma che è in lista d’attesa e verrà trapiantato dalla Squadra del Mago Magister. Non smetto di pensare a quella bimba dagli occhi grandi che sta ingiallendo settimana dopo settimana o a quei genitori che hanno appena messo piede nel tunnel.

Anche se loro non lo sanno e se le carte in tavola comunque non cambiano, io a quelle persone penso costantemente. Soprattutto quando sento forte la consapevolezza della mia libertà e della mia felicità, distesa nel sole di luglio, mentre guardo i miei bambini giocare come se nulla fosse mai accaduto perché so che anche loro arriveranno al punto in cui mi trovo io.