ISOLAMENTO

Il 17 agosto 2009 entravamo direttamente in Rianimazione passando dal Pronto Soccorso. Ne saremmo usciti il 2 dicembre dello stesso anno.
A seguire avremmo vissuto su per giù altri dodici mesi di quasi assoluto isolamento. Il post-trapianto il più delle volte è così.

In terapia intensiva puoi entrare in orari ben precisi, non puoi rimanere la notte anche se in quella terapia c’è il tuo bambino. Se per caso sei in allattamento, capita che tu debba smettere perché quel bambino non lo puoi più prendere in braccio e il tuo corpo reagisce di conseguenza. Scopri, in tempi non sospetti, cosa sia un C-PAP, uno di quei buffi caschi per la ventilazione, ce l’aveva in testa il piccoletto e aveva quattro mesi di vita.

In terapia intensiva entri bardato per proteggere chi è dentro e con il cuore di sasso per il senso di impotenza. E lì dentro trovi gente cazzuta, pronta a sorriderti anche se è l’ennesimo turno non previsto che si fa, anche se hanno tagliato una volta di più finanziamenti, anche se hanno avuto a che fare con storie drammatiche oltre la tua.

Poi, fuori dalla terapia, ci sono i reparti, una passeggiata. Se sei in isolamento perché tuo figlio è esposto a qualsivoglia virus, germe o batterio dei più comuni, rimani dentro 24 ore al giorno, ogni giorno della settimana, per settimane. Mesi. Capita di incontrare solo il personale ospedaliero per i controlli e le visite durante l’intera giornata, perché ti devono proteggere dal mondo esterno, diventato improvvisamente pericolosissimo.

Stai in una piccola stanza, siete tu e un bambino da intrattenere e che non se la passa propriamente bene. Vedi illuminarsi la giornata, scandisci il tempo il più possibile con una sorta di routine, una qualunque, che ti tenga integra dentro. Vedi arrivare il buio. E speri in qualche ora di sonno continuato.

In ospedale si dorme male, ci sono tanti rumori, si sono i macchinari, ci sono gli allarmi delle pompe di infusione. Se sei fortunato c’è una televisione che prende tre canali, di solito quelli che propongono western d’annata e show strappamutande.

Di giorno la brandina deve essere chiusa e te ne stai seduto su una sedia o su una poltroncina, se c’è. Se sei in isolamento, capita che le tue finestre sul mondo in realtà si affaccino su un piccolo corridoio che funge da intercapedine tra la tua stanza e le finestre vere.

E non hai nessuno che canti per te sui balconi, che ti mandi ricette da provare. Non ti senti parte di un bel niente. Anzi. La vita degli altri continua e tu guardi passare i fine settimana da una doppia finestra, mentre fuori l’estate finisce e arriva l’autunno. E ti chiedi perché cazzo sta succedendo proprio a te. Non hai le forze di fare ginnastica, non puoi farti la tinta, non cucini e sogni un caffè come dio comanda, non quello della macchinetta in fondo al corridoio.

In isolamento in ospedale ti senti solo. Profondamente solo. Soprattutto quando chi sta male non sei tu.

Ma se ce l’hanno fatta questi bambini a superare il trauma dell’isolamento in ospedale, ce la faremo tutti, ve lo posso assicurare.